Cassa di Previdenza e Assistenza Forense: La contribuzione previdenziale slegata dal reddito è illegittima
Il rigetto del ricorso in primo grado non ci fermerà!
Il Tribunale di Napoli, in funzione di G.L., con la sentenza 7241 dell’8/11/2018 ha rigettato il ricorso dell’Avv. Di Donato con il quale si contestava la nullità della cartella di pagamento inviatale da Cassa Forense nonché la nullità della notifica stessa, ritenendo altresì insussistenti gli eccepiti vizi di legittimità costituzionale dell’articolo 21, commi 8 e 9, della Legge n. 247 del 2012 (e del relativo Regolamento di attuazione) con il quale è stata disposta la cancellazione dall’Albo degli Avvocati che non raggiungano determinati livelli reddituali.
La sentenza, ça va san dire, è stata già impugnata innanzi alla Corte di Appello atteso che il giudice non solo si è illegittimamente sostituito alle parti resistenti (Cassa Forense ed Equitalia Servizi di riscossione SpA) nel contestare le pretese di parte ricorrente ma ha omesso di valutare le questioni di legittimità costituzionale sollevate, asserendo di aderire – del tutto acriticamente – alla sentenza del Tribunale di Roma n. 11383/2017.
«La sentenza risponde ad esigenze di natura politica, Cassa Forense è un colosso: sapevamo che avremo avuto difficoltà a vincere la prima battaglia. In cuor mio confidavo nel Giudice, speravo che la “questione di legittimità” fosse sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale– dichiara l’avv. Argia di Donato – La “questione Previdenza” è solo uno degli aspetti controversi del nostro “mondo” in grande trasformazione. I problemi dell’Avvocatura sono molti e non tutti risolvibili nel breve periodo. Ma noi crediamo al principio che abbiamo portato in aula, perché è giusto, perciò sacrosanto. Ho chiesto ai colleghi di tutta Italia di aderire alla nostra battaglia ma siamo ancora pochissimi. Una goccia nell’oceano. Ad ogni modo, noi combattiamo e continueremo a farlo.»
«Pare opportuno svolgere alcune considerazioni sulla vicenda in questione. – afferma l’avv. Alfonso Emiliano Buonaiuto, procuratore della Di Donato – Che alcun ausilio alla nostra battaglia sarebbe venuto da parte degli organi rappresentativi dell’Avvocatura Italiana lo avevamo dato per scontato: ormai il C.N.F. ed i locali Consigli dell’Ordine perseguono interessi del tutto avulsi da quelli degli avvocati che pur dovrebbero rappresentare. C’è solo da auspicare l’abolizione di questi organismi la cui utilità, ormai, risulta prossima allo zero. Maggiori speranze riponevamo nella Magistratura, credendo fideisticamente nell’esistenza di un “giudice a Berlino”. Ma ci siamo sbagliati.
Ed invero gli organi istituzionali e rappresentativi della magistratura, C.S.M. e A.N.M. – come i recenti fatti di cronaca hanno confermato – benché da anni si siano (auto) proclamati difensori della Costituzione, usano la stessa come strumento di lotta nei confronti dei loro nemici politici, violandola impunemente ove necessario ai loro scopi di parte. Emblematica di ciò la pantomima, ad usare un eufemismo, posta in essere alcuni anni fa dai rappresentanti della Magistratura nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, presentatisi nei vari Tribunali brandendo il testo della Costituzione a mò di clava!– prosegue l’avv. Buonaiuto – Qualcuno, magari, dovrebbe suggerire loro di leggerla, la Costituzione… Perché se la leggessero, si renderebbero conto che subordinare l’esercizio della professione di Avvocato al possesso di requisiti economici slegati dal reddito è un vulnus al diritto alla difesa dei cittadini garantito dall’art. 24 Cost. Dinnanzi a tale stucchevole inerzia e cecità, appare davvero paradossale la solerzia con cui la Magistratura solleva questioni di legittimità costituzionale su questioni bagatellari (es. articoli del c.d.s.) ovvero dalle forti implicazioni politiche (es, decreto “sicurezza”).A tal proposito, dato che “a pensar male si fa peccato, ma si indovina”, ci chiediamo: se la Legge n. 247/2012 fosse stata promulgata da un Governo politicamente non allineato alla Magistratura, questa sarebbe rimasta così silente dinnanzi alla evidente violazione del diritto di difesa garantito dalla Costituzione?»
nota di approfondimento
La questione politica.
La questione sollevata dall’avv. Di Donato, sorvolando sulle questioni di merito processuali e sui profili sostanziali di diritto, è di natura essenzialmente politica: si richiede che il Giudice, sospendendo il giudizio in corso (dato che lo stesso non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale e che queste ultime non sono manifestamente infondate), emetta ordinanza con la quale disponga l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. La norma contenuta nei commi 8 e 9 dell’articolo 21 della Legge Professionale (L. n. 247/2012) è in palese violazione dei principi garantiti nella nostra Costituzione, in quanto impone – per la prima volta in Europa – «condizionamenti» e criteri sul modo di esercitare la professione forense, in assenza dei quali il professionista potrà essere cancellato dall’albo, con conseguente divieto di uso del titolo di avvocato e con inevitabili conseguenze anche sugli interessi dei suoi assistiti. Se a tali rilievi si aggiunge che la permanenza nell’albo è strettamente legata all’obbligatoria iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (comma 8 dell’articolo 21) e all’ulteriore principio di continuità determinato dallo stesso ente, il rischio di vedere – in un arco temporale assai breve – cancellazioni di massa dall’albo e la perdita di lavoro di migliaia di professionisti, stimati in 60.000 circa, si profila oltremodo realistico. Nello specifico, l’avv. di Donato ha eccepito la violazione di legge e l’illegittimità costituzionale dell’articolo 21, commi 8 e 9, della Legge n. 247 del 2012per violazione del principio di legalità di cui agli artt. 23, 97, 113 della Costituzionenonché del canone di ragionevolezza della legge di cui all’articolo 3 della Costituzione; la violazione di legge e l’illegittimità dell’articolo 21, commi 8 e 9, della legge n. 247 del 2012 in relazione ai principi comunitari sulla concorrenza di cui all’articolo 117 della Costituzione e 106 T.F.U.E.e di cui agli artt. 15, paragrafo 1, 16 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europeanonché illegittimità costituzionale dell’articolo 21, commi 8 e 9, della legge n. 247 del 2012 per violazione dell’articolo 41 della Costituzione nonché degli artt. 2, 3, 4 e 33, comma 5, 41 e 53 della Costituzione; la violazione dell’art. 21 della legge n. 247/2012 da parte del Regolamento di attuazione; la violazione di legge ed il conflitto del Regolamento di attuazione dell’art. 21, comma 8 e 9, L n. 247/2012 con il principio comunitario sulla libera concorrenza di cui agli artt. 101 e 102 T.F.U.E.; la violazione di legge e violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e violazione dei Trattati U.E. e C.E.D.U..
Le argomentazioni sostenute da Cassa Forense.
L’Ente previdenziale ha omesso di contestare nello specifico le censure sollevate in sede di ricorso, limitandosi ad affermare la legittimità di scelte politiche funzionali a garantire l’equilibrio dell’Ente e la regolare erogazione delle prestazioni agli iscritti. Tuttavia le discutibili “scelte politiche” di Cassa, lungi dall’essere legate a dati fattuali di natura macroeconomica, sono al contrario frutto di arbitrio, atteso che la discrezionalità della Cassa in materia è eminentemente tecnica e non assoluta.Ed invero, se la stabilità della gestione della Cassa imponeva di introdurre norme draconiane quali l’art. 21, commi 8 e 9 della L. n. 247/2012 ed il Regolamento di Attuazione, non si comprende come l’Ente possa aver deciso, in assenza di mutamenti economici di rilievo, l’abolizione del contributo integrativo minimo dal 2018 al 2022.Ma c’è di più. Se la situazione dei conti di Cassa Forense era tale da imporre per legge la cancellazione dall’Albo degli Avvocati non in grado di pagare i contributi, è legittimo chiedersi come Cassa Forense giustifica la spesa di quasi tre milioni di Euro per i propri organi di amministrazione e controllo oppure la distrazione del denaro versato a fini previdenziali dagli iscritti, per effettuare al contrario discutibili investimenti con perdite per centinaia di milioni di euro(cfr., “Il Sole 24 ore” dell’11/11/2008).Per tacere di pubblicazioni quali “La previdenza forense” la cui utilità – ed i cui costi – sono conosciuti esclusivamente dai dirigenti, dagli impiegati e dai consiglieri di Cassa Forense i quali, per inciso, sono i soli chiamati a pubblicarvi articoli o recensioni. Pare opportuno rilevare che il T.A.R. Lazio nella sentenza n. 7353/2016,pur rimettendo al Giudice del Lavoro la questione di merito, ha accolto un’interpretazione dell’art. 21, comma 9, L. n. 247/2012 “costituzionalmente orientata” per la quale tutti gli avvocati, compresi quelli che non rientrano nei parametri economici stabiliti, “hanno il diritto di permanere nell’unico sistema previdenziale” e avere “pari dignità professionale e pari diritto a restare nel mercato”.
Il Rigetto in primo grado del ricorso.
Il Tribunale di Napoli, in funzione di G.L. con sentenza dell’8 novembre 2018 n. 7241, ha rigettato il ricorso dell’avv. Di Donato. Avverso tale pronuncia è stato proposto Appello.
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Di Donato c/ Cassa Forense: il rigetto del ricorso in primo grado non ci fermerà | NOMOΣ
12 Giugno 2019 at 14:17[…] Napoli Report […]